Tra vent'anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l'ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite. (Mark Twain)

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mercoledì 5 ottobre 2016

Casa Africa (terza parte)

Sono tre giorni che qui tira un vento da portar via. A me il vento non piace per niente. Anzi, tra gli agenti atmosferici è proprio quello che mi piace meno. Ha però un pregio, e quello gli va riconosciuto: fa diventare l'aria pulita pulita e il cielo limpido e cristallino. Ecco perché ogni volta che il vento compie la sua opera, il pensiero mi torna in Africa. E dal momento che il mio racconto sulla prima esperienza in Kenya era rimasto da completare, penso sia giunto il momento.

Prima cliccate qui, per creare l'atmosfera.

Eravamo rimasti al ritorno dal nostro meraviglioso safari nel parco Tsavo (piccola ricapitolazione: niente acqua, umore nero, pancia piena e acqua tornata, umore decisamente in salita).

Mama Anakuja
Per alcuni giorni ci dedichiamo a girare in Malindi al mattino e ai bimbi dell'orfanotrofio Mama Anakuja il pomeriggio. Ci fanno fare giochini e balletti sulle prime imbarazzanti, ma una volta liberati di tutti i nostri schemi per i quali gli adulti, se non vogliono perdere il decoro, non devono imitare galline, fare trenini o parlare come sciocchi, ecco, si apre una specie di varco nello stomaco ed escono le brutture. Praticamente è stato come rovesciare nel vento tutta la pesantezza accumulata e riempire la pancia di una sensazione di libertà incredibile. E anche se all'inizio non capivamo proprio cosa fare, e quindi eravamo derisi in modo plateale, dopo un attimo vederli ridere faceva stare bene anche noi, e il gioco diventava semplicemente farli divertire il più possibile. Sono state le ore meglio spese di sempre. Insieme a quelle trascorse con i bimbi del Burundi.
A Malindi giriamo in tuk tuk ormai con una certa scioltezza, facciamo acquisti contrattando come pazzi e diventando oggetti di invidia da turisti poco abituati alla pratica, compriamo quello che possibilmente possa stare in valigia, ma tanto «in qualche modo ce lo facciamo stare», per citare una massima da noi molto utilizzata. Un giorno propongo di andare a fare un'escursione alle rovine di Gede. Avevo tanto sentito parlare di questo posto un po' misterioso, con una storia di ricostruzioni, danneggiamenti e invasioni varie, soprattutto perché dicono abbia ispirato l'ambiente in cui abita Re Luigi nel cartone disney "Il libro della giungla". Ecco, è vero. Sembrava di essere nel cartone. Liane, alberi altissimi, palazzi in rovina e tante, tantissime scimmie. Bello bellissimo, assolutamente da vedere. 
le rovine di Gede
Giriamo una buona mezza mattinata e usciamo dal fresco degli alberi non rendendoci conto dell'ora. Ma appena torniamo sulla strada sterrata e cominciamo a camminare per arrivare sulla via principale in cerca di un "matatu" (= bus 22 posti che però funge da bus di linea triplicando la capacità ma nel medesimo spazio) ci coglie il mezzogiorno africano, che è di fuoco veramente. Un caldo da pazzi, e sappiamo che girare a quelle ore non è saggio, ma girando in terra africana, seguendo il sole e le cose belle ed essendo anche senza orologio, il senso del tempo si perde decisamente. Così ci fermiamo stremati in un chioschetto a prendere una bottiglia di coca cola con quattro cannucce. Rigorosamente di vetro e rigorosamente da restituire vuota. Ed è stata una di quelle cose che subito, quando sei stanco, non cogli al meglio, ma che poi sono il sugo del viaggio, perché la condivisione, anche nel disagio, è bellissima. 
Ripartiamo per Malindi e facciamo tappa nell'agenzia del nostro amico che ci propone di fare il giorno dopo il "Safari blu". Accettiamo ovviamente, e il giorno dopo veniamo imbarcati su una barchetta nel parco marino di Malindi per una giornata all'insegna del mare. C'è da dire una cosa sul mare del Kenya. Essendo oceano, spesso è mosso e inoltre è soggetto a maree, quindi il bagno si può fare certamente ma a volte è difficoltoso. Però la sabbia è dorata e quando è bagnata luccica ed è incantevole. Il safari blu permette invece di scoprire il mare da cartolina, di tutte le sfumature di azzurro, vedere un sacco di pesci e mangiare in modo assolutamente meraviglioso. Ci godiamo proprio la giornata, immersi in uno dei paesaggi che più preferisco al mondo. Che comunque il bagno alla spiaggia pubblica siamo andati a farlo un paio di volte, ma il safari blu porta in luoghi altrimenti inarrivabili.
safari blu
Torniamo al campeggio, doccia, cena, partite a carte e buona notte. Come al solito. Ma quella notte riceviamo una visita. Ad un certo punto, saranno state le 3 più o meno, sentiamo bussare alla porta. Immaginate la notte buissima in un campeggio in mezzo al bush africano. Presenti solo noi 4 e un guardiano (che forse quella sera lì non era proprio presente). Il terrore. Il Maritino con coraggio imbraccia il lume a benzina e va aprire. Si trova davanti un ragazzo ancora più sorpreso di noi nel vedere un bianco aprirgli la porta. E mentre io continuo a gridare al Maritino di entrare, che chissà cosa mai voleva quel ragazzo, ho assistito alla inusuale e paradossalmente comica conversazione tra un italiano che non parla swahili e un keniano che non parla altro che swahili ma improvvisa un po' di simil-inglese. Alla fine il ragazzo voleva solo avere una camera per trascorrerci del tempo con la sua fidanzata, ecco, niente di più. Solo che quando apri la porta di un campeggio in mezzo al bush in piena notte e ti trovi davanti una persona che continuamente ti chiede qualcosa di simile a "iorru", che poi il Maritino ha capito essere "your room", un po' di spavento sale.
Così il mattino dopo, in accordo con i nostri amici, decidiamo di andare a trascorrere i giorni restanti in un hotel in centro a Malindi. Hotel che ora non c'è neanche più, ma era piccolo e ben curato, con un profumo di fiori e legno da impazzire di gioia. Abbiamo passato lì dei magnifici giorni di relax, tra colazioni super, thè con biscotti nel pomeriggio e lunghe chiacchierate alla sera. Sempre andando dai "nostri" bimbi. Sempre costruendo legami che difficilmente saranno mai spezzati. Sempre incastrando nel cuore quel pezzetto d'Africa che ora pulsa e ci fa avere nostalgia.

Questa volta il racconto è davvero terminato. Vi ricordo che potete leggere la prima parte qui e la seconda qui.
Se volete sapere qualcosa di più sulle rovine di Gede, date un'occhiata qui.
Io in Kenya sono tornata e so che tornerò ancora, soprattutto per loro.

Kwaheri!

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